Mi sono svegliato poco prima delle sette, come da programma. Vado in bagno e mi accorgo troppo tardi che avrei dovuto portare con me la chiave della stanza per potervi rientrare. Scendo a chiedere una nuova chiave alla reception, ma la reception apre alle 8, mica dovrò starmene in mutande nell’atrio dell’ostello per un’ora? Per fortuna qualcuno rumoreggia in cucina, busso, spiego quanto è successo ed ottengo la chiave ed un sorriso divertito.

Alla fermata dell’autobus un ragazzo tirato a lucido (giacca e cravatta, quantomeno strano di fronte ad un ostello pieno di gente con zaini, scarponi e tute da ginnastica) attacca discorso mentre aspettiamo. È spagnolo, di Madrid, è a Reykjavík per lavoro, va ad una conferenza di biochimici per presentare un lavoro sui prioni (crazy cow, tu sabes).

Parto per Landmannalaugar accompagnato dalla stessa pioggia leggera di ieri. Uscendo dalla capitale, saliamo su un altopiano e poi scendiamo a Selfoss, quindi Hella, quindi il deserto marziano. Il pullman si muove su una pista che attraversa spianate di sabbia nera tempestata di qualcosa di verde che da lontano sembra erba e da vicino si rivela essere muschio e lichene. Costeggiamo colate laviche e attraversiamo torrenti, dopo un paio d’ore, superato il lago di Frostastaðavatn, in mezzo ad una enorme spianata che sembra essere il letto di un fiume dal corso e dalla portata apparentemente molto variabili, appare il rifugio di Landmannalaugar, circondato da montagne di pietre rosse, gialle, ruggine e perfino verde-blu.

Landmannalaugar

Il cielo è coperto, non piove, con un maglione addosso non si sta male.

Sistemo la mia roba sulla branda. Di sotto una signora italiana sta sottolineando tutto ciò che non le piace (“la prossima volta stai a casa tua”, penso). Vado a fare il bagno nella pozza della sorgente calda vicino al rifugio. Ci si sta troppo bene dentro. L’acqua è letteralmente scaldata dal fondo della pozza, se tocchi il fondo e lo scuoti con la mano, più scendi più senti caldo, al punto che devi smetterla se non vuoi scottarti.

Conosco Manni, un islandese che parla italiano e sta facendo da guida proprio al gruppo di italiani a cui appartiene la signora di prima. Un eroe, insomma. Venendo a sapere che sono diretto a Þórsmörk e quindi a Skogar, mi dà qualche dritta sul percorso e, dal momento che loro stanno rientrando in città, mi riempie lo zaino di roba da mangiare, frutta compresa. Un vero Babbo Natale.

Ore 17. Sono appena rientrato da un breve giro nei dintorni che mi ha portato in mezzo all’immenso letto del fiume ed poi sulla cresta della Bláhnukur, una collina di friabilissima roccia color verde turchese. Per la prima volta il tempo è cambiato in peggio, dopo una fugace schiarita una nube bassa bagna tutta la zona di una pioggia lieve. Nonostante questo (o, forse, proprio per questo) qualcuno continua a starsene a mollo nella pozza calda.

Compagni di stanza italiani salvano la reputazione nazionale, non siamo tutti signore insoddisfatte. Abbiamo cenato insieme. Un altro bagno nella pozza calda sotto la pioggia lieve che va e viene. Quando sono quasi le 22 fuori ci sono 6 gradi ed è ancora chiaro. Una coppia di australiani che divide la stanza con noi si prepara a dormire e noi facciamo altrettanto.