Agosto sta finendo. Siamo partiti, come da programma, alle 2 e mezza del pomeriggio diretti al fiordo ed all’omonimo villaggio di Hesteyri. Io ed una coppia di israeliani, Ytzak e Dasi, siamo gli ultimi 3 turisti della stagione. Lyddi (la moglie di Hafsteinn, entrambi gestiscono d’estate questa attività di escursioni) mi dice che ormai la stagione è terminata, non ci sono più abbastanza turisti e questa sarà l’ultima escursione della stagione. Oltre a noi, alcuni parenti di Lyddi, in visita da Reykjavík.

La storia di Hesteyri è a modo suo emblematica di come il destino di una comunità è indissolubilmente legato alle risorse dell’ambiente in cui si trova. Abitato da quando i primi coloni norvegesi arrivarono sull’isola, all’inizio del XX secolo divenne una stazione norvegese di caccia e lavorazione delle balene aprendo l’economia del villaggio, fino ad allora di sussistenza, al mondo esterno. Dopo circa trent’anni, un divieto governativo di caccia alle balene fece sì che i norvegesi se ne andassero, la fabbrica venne riciclata per la lavorazione delle aringhe.

Nel 1938 Hesteyri era abitato da poco meno di un centinaio di persone. Le dure condizioni di vita, specialmente durante l’inverno, ed un cambiamento nella zona di riproduzione delle aringhe resero la vita del villaggio sempre meno sostenibile finché nel 1952 gli ultimi 30 abitanti del villaggio decisero di andarsene a cercare fortuna altrove. Il villaggio rimase incustodito per oltre trent’anni finché alcuni dei discendenti degli abitanti tornarono e rimisero in piedi alcune case.

Ora la zona del villaggio (l’Hornstrandir) è un parco naturale, solo ai discendenti degli antichi abitanti di Hesteyri (in grado di dimostrarlo) è concesso di ricostruirvi la propria casa, a patto che sia identica per dimensioni ed aspetto esteriore a quella originale. Alcune case sono adibite a rifugio per chi voglia compiere escursioni nella zona.

Hesteyri